<<La storia dei francesi è come un dramma dove ci sono più spettatori che attori. Gli ungheresi invece credono che il palcoscenico sia deserto e discutono di antiche recite coronate di gloria nella hall del teatro. Per questo il popolo ungherese sembra il più presuntuoso da vicino. Da lontano non si vede>> (P. Esterhazi: "Harmonia Coelis")
E' una bella giornata e mi ritrovo a leggere un buon libro all'isola Margherita sulle panchine proprio sotto il ponte. Da qui se alzo lo sguardo sembra di essere nella locandina di "Manhattan" di Woody Allen. Qui ci sono anche i colori e Buda oltre il ponte.
Il buon libro è "Down and out in Paris and London" di George Orwell, sulle sue esperienze da expat. a Parigi (sono a metà libro ed a Londra ci deve ancora arrivare). e io qui sono un expat. e tale mi definisco. Orwell non dice cosa lo ha spinto a Parigi, campa di lezioni private e degli articoli che riusciva a piazzare ogni tanto.* Arriva anche a digiunare. Infine fa comunella con un cameriere russo e diventa lavapiatti.
Io del digiuno non posso parlarvi, oh lettori, e non me ne dispiaccio, ma potrei descrivervi il valore nutritivo dei legumi al confronto della carne e il tempo di cottura dela pasta "Domani" (della Repubblica Ceca) e degli spaghetti "Sole d'oro" (di Pordenone) in vendita nei migliori negozi a 85 fiorini rispetto alla Barilla (250 fiorini) o al suo sostituto naturale pasta Colavita (170 fiorini).
Un giorno vi parlero' poi a lungo delle mie riflessioni su questi libri di di expat. che leggo e apprezzo, giuro che lo farò, come dice una famosa canzone. Per adesso mi limito a dire che la cosa che più mi sorprende è come i locali, gli indigeni, non ci son mai, se non sul luogo di lavoro. I locali sono solo sullo sfondo, come i palazzi e le piazze famose dove i personaggi si muovono. Non ci sono francesi in "Tropico del cancro" (H. Miller), nè americani in "Ombre in paradiso" (E.M. Remarque), ma altri expat. Perchè son loro i tuoi fratelli.
Ci sono solo expat anche in Orwell e Orwell li racconta, loro, questa pazza umanità che popola anche il mio blog e ne ha per tutti: russi pazzi e passionali, che dicono barzellette cattive sugli ebrei; serbi che lavorono duro mezza giornata, poi si fan cacciare, perchè tanto dopo le 12 se sei licenziato ti devono rendere l'intera paga di un giorno e lavori di meno; e ci sono anche italiani e ungheresi, anzi Magyar, come li chiama Orwell.
Gli italiani gestiscono la caffetteria dove lavora, lo insultano tutto il tempo durante il lavoro, poi appena usciti sono amiconi.
Ma veniamo ai magiari. Se il primo Magyar suo collega è liquidato in una sola frase cattiva, che scriverò qui in caratteri piccolissimi e al contrario (decneirepxenu saw I dna, diputs yrev saw raygaM ehT), è quando arrivo alla descrizione del secondo Magyar, che sorrido, e mi allontano soddisfatto, pensando che in fondo anche il grande George Orwell ha condiviso con me un pensiero su questo popolo... Dunque il secondo Magyar, ha gli occhiali, è un ex studente di medicina, che ha lasciato gli studi perchè non riusciva a pagarsi più il tirocinio. Parla molto, non ha voglia di lavorare e litiga con i clienti. "and he was also, like most Magyars, passionately proud. Proud and lazy men do not make good waiters"
*mi ricorda qualcuno che conosco bene