Ryszard Kapuscinski. Conoscere e' viaggiare e scrivere
E’ morto ieri a Varsavia Ryszard Kapuszinski.
Mi dice qualcuno dei miei affezionati lettori: lo citi spesso nel blog, ma nn lo conoscevo. Ho letto i vari coccodrilli da Repubblica al New York Times, ma mi sembra di leggere dapperttutto la stessa pagina dell'Ansa scopiazzata.
Allora l’autore del blog, il Kapuscinski che era in lui, si sente in dovere di dire:
<<E’ morto ieri a Varsavia Ryszard Kapuscinski, grande reporter e scrittore polacco.
E’ morto all’età di 75 anni, di cancro, molto longevo per il suo mestiere, un mestiere quello di inviato estero dove i più morivan prima, per i rischi o per le privazioni, le ristrettezze di un inviato di guerra.
Grande inviato di guerra, ha coperto più di 30 rivoluzioni e colpi di stato dalla rivoluzione Komeinista, alla destituzione del negus d’Etiopia, alla morte di Lumumba, ad Amin, alla Bolivia, all’Honduras, al crollo dell’URSS, ai signori della guerra africani del West ed East Africa.
Visse per più di 20 anni in Africa, come unico inviato della PAP, l’agenzia di stampa polacca, e appena poteva ci tornava. L’Africa era il suo grande amore, un continente di poveri, emarginati, (come era stato lui, polacco nato a Pinsk, oggi in territorio bielorusso) di gente che possiede solo una pala e fa di lavoro lo spalatore, o una camicia e fa il guardiano, perché i guardiani a torso nudo in Africa non li vuole nessuno.
Questo era il suo modo di capire l’Africa e di raccontarla. Una terra in cui si sale sull’autobus e se chiedi quando parte, l’autista fa un sorriso, che domande, quando il bus si riempie, dove la distanza tra A e B nn si misura come in occidente: in Africa un posto da un altro nn dista 500 Km, ma 5 ore, nella stagione secca o 2-3 giorni, se piove.
Per capire questo doveva vivere con loro e come loro, in Siberia d’Inverno, nelle miserie di Donesk, tra le strade di Addis Abeba tra perquisitori improvvisati e etiopi sospettosi per natura, doveva andare vivere in un quartiere africano a Lagos, anche se sa che andrà a omrte certa, deve ammalarsi di malaria in Tanzania e farsi curare in un ambulatorio Africano, se no come farà mai a capire.
Al giornalismo arrivò, come tanti, per caso. Era il portiere delle giovanili del Legia Varsavia, voleva fare il calciatore, poi una sua poesia fu pubblicata sul giornale scolastico, qualcuno lo noto’ e gli propose di scrivere per un giornale. Prima si diplomò, il giorno dopo fu assunto. Si laureò in storia, aveva la fortuna di essere povero, in una polonia appena uscita dalla guerra dove ai figli dei ricchi l’Università era interdetta.
Come ogni grande reporter era un avido lettore. Economia, politica, storia, antropologia, filosofia, tutto; leggere era importantissimo, per capire i piccoli segnali che il mondo gli mandava, per spiegare in poche paginette il Sudafrica o il Ruanda, come sapeva fare solo lui. E come chi sapeva troppe cose fu un uomo solo e malinconico. Per dare unconsiglio ai giovani diceva: seguite l'arte, l'arte ha sempre avvertito in anticipo i cambiamenti.
Fu un grande scrittore. Uno dei pochi che sono riusciti a unire grande giornalismo e la grande letteratura. Non Chatwin, non altri. Da grande scrittore curava la forma; componeva poesie per allenare la sua prosa ala musicalità.
Odiava le scrivanie, anche se ne avesse avuta una in diamanti li sarebbe impazzito, in uno di questi aggeggi fatti per imbrigliare l’uomo, il suo spirito.
Ci ha lasciato un grande capolavoro “Ebano”.>>
Posted by alessandro grimaldi
at 16:45 CET
Updated: Tuesday, 6 February 2007 00:49 CET